Viaggio tra i minatori di bitcoin italiani
Con il loro lavoro sostengono la rete della criptomoneta, risolvendo calcoli complessi che rendono autenticate le transazioni. Ecco chi sono
Carola Frediani
Pubblicato marzo 12, 2014
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(foto: Getty Images)
Marco (nome di fantasia) ha 16 anni. Due anni fa, quando ne aveva solo 14, ha iniziato a interessarsi ai bitcoin. Non senza qualche problema visto che, non avendo un conto in banca, aveva dovuto convincere il padre esterrefatto a fare un bonifico su un istituto estero di un misterioso cambiavalute (come l’ormai caduto in disgrazia Mt. Gox) per acquistare la sua prima moneta digitale. Così Marco, quando non era a scuola o a studiare, ha iniziato a scambiare bitcoin e altre criptomonete, a seguire i movimenti di mercato, e perfino a specularci, mettendo da parte, col tempo e l’irresistibile ascesa del loro valore, un bel gruzzolo.
“A furia di usarli però mi sono reso conto che era una valuta con molti vantaggi, e ho deciso di studiarla per bene. Da allora non è più una questione di possibili guadagni che puoi fare convertendo i bitcoin in euro, ma mi sono proprio innamorato delle criptovalute”, racconta a Wired in una conversazione via Skype. Lui ora si occupa di trading e di mining. Nel primo caso sfrutta le monete alternative, come Litecoin e Namecoin e, in base alle notizie che escono sui siti specializzati, compra o vende. “Le altre monete vivono solo nella speculazione”, spiega.
Oltre a questo, Marco mina bitcoin. Il termine indica quel processo per cui le persone che, tramite i loro computer, sostengono il network della criptomoneta sono ricompensate del lavoro svolto. Il lavoro ha a che fare con la risoluzione di calcoli complessi che permettono di autenticare le transazioni all’interno di una rete decentrata. Questa attività – che serve a raggiungere un consenso distribuito sulla validità delle transazioni effettuate, come se si trattasse di un gruppo sparpagliato di notai che certificano la regolarità delle procedure – viene svolta col mining, cioè con computer potenti che macinano i calcoli necessari e generano quindi i blocchi a cui si legano le transazioni, in un unico registro chiamato blockchain. Poiché tale attività ha un costo – anche solo energetico – i miners (termine con sui si indica sia la macchina adibita allo scopo sia il suo proprietario) che risolvono la chiave crittografica di una determinata transazione ricevono dei bitcoin, 25 per ognuna.
Una volta si minava anche col computer di casa. Siccome però la potenza necessaria per farlo aumenta con la crescita del network, oggi non vanno più bene neanche le schede grafiche GPU, ma servono macchine specializzate, con chip ASIC. É nata proprio un’industria che produce dispositivi dedicati. Inoltre conviene unirsi in gruppi di minatori, le cosiddette mining pool, per mettere insieme la potenza di calcolo e dividersi le ricompense.
“All’inizio minare era rischioso perché le macchine che ordinavi potevano arrivarti anche dopo mesi, quando già non andavano più bene, perché in poco tempo sono superate. Ora invece ci sono aziende che te le fanno avere subito, il che ti permette di ammortare i costi e di fare anche qualche profitto”, continua Marco. Che però ha dovuto fare un accordo con i suoi genitori sull’energia consumata: alla fine gli hanno concesso 3 kwh da sfruttare in casa. “E hanno anche cambiato idea sui bitcoin”, aggiunge.
A lanciarsi nel mondo del mining è stato anche Michele Ficara Manganelli, presidente di Assodigitale, associazione la cui missione è monitorare l’evoluzione e l’utilità delle nuove tecnologie. “Dovevamo testarla nella pratica”, commenta a Wired. Così hanno acquistato una macchina (miner) dalla Cina, arrivata in soli cinque giorni, un Antminer S1. Gli è costata 1.45 bitcoin, equivalente a 670 euro. “L’abbiamo installato in circa un’ora, poi volevamo verificare se le “miniere” effettivamente pagano, e abbiamo constatato che ogni giorno produce i suoi bitcoin, equivalenti a 15-20 euro, al netto delle spese dell’elettricità. Tra tre mesi e mezzo probabilmente sarà obsoleta, nel senso che non converrà più usarla”.
Minare con pochi investimenti è possibile farlo solo per le monete alternative, come appunto Litecoin o Dogecoin, perché si può usare ancora una scheda grafica GPU acquistabile in un negozio d’informatica per duecento euro. Ci sono molti ragazzini (e non solo) che vi si dedicano e poi fanno trading tra le varie criptovalute, cambiando quanto ottenuto in bitcoin. In circolazione ci sono circa 200 valute alternative, perché chiunque può prendere il codice open source di bitcoin, modificarlo e crearne una; ma alcune nascono e muoiono nel giro di poche settimane. E il rischio che degli sprovveduti – attirati dall’idea di replicare la parabola di successo di bitcoin – si facciano male è alto.
“Quest’estate creavo bitcoin con dispositivi Asic, ma quando si è avvicinato il momento critico in cui sarebbe calato il profitto li ho venduti”, mi racconta un altro minatore noto della comunità italiana, di circa 30 anni, che nella vita lavora nel marketing di una grossa azienda. Tuttavia preferisce restare anonimo. Il vuoto legislativo sulle criptomonete, la voci su chi si sarebbe arricchito e l’improvvisa attenzione mediatica sul fenomeno rendono guardinghi molti bitcoiner. Ora lui ha messo in piedi una farm, un gruppo di dispositivi per minare radunati in due diversi posti (di cui uno è alimentato con fonti rinnovabili). Partecipano una trentina di persone, da studenti a pensionati, che hanno messo in comune le loro GPU con cui generano monete alternative come Litecoin, per poi convertire in bitcoin. “Non passiamo mai alla conversione in euro per scelta. La nostra scommessa è di creare monete matematiche e di conservarle per poi spenderle nella loro forma. Pensiamo che bitcoin sarà presto utilizzabile quasi ovunque”, conclude l’uomo.
Ma l’economia che ruota attorno alla criptomoneta va ben oltre il mining. Che, come spiega a Wired Stefano Pepe, 34 anni, startupper col pallino dei bitcoin, è stato il punto di partenza per tutti gli appassionati del settore. Tutti hanno minato o iniziato con quello. Poi le attività hanno cominciato a diversificarsi. Lui ad esempio si è inventato una formula – BitQuota – di compartecipazione a una “miniera”. In pratica compra un miner di grosse dimensioni, da circa 4mila euro, e lo suddivide in piccole quote che chiunque può comprare. È come se ognuno acquistasse un pezzetto della macchina che mina. In base alle quote date, si riceve una percentuale di quanto viene estratto. “Lo abbiamo fatto lo scorso ottobre e chi ha partecipato oggi ha già ammortato il 70 per cento del valore in bitcoin che aveva investito”, racconta Pepe. “Se converti in euro hanno guadagnato invece 6-7 volte tanto”. Ogni venerdì lui manda i bitcoin minati ai vari shareholder: di alcuni non conosce neanche il nome, solo l’indirizzo del portafoglio.
È un’economia che si basa completamente sul passaparola e la fiducia. E in cui non mancano le fregature. “Ci sono stati casi di società che avevano raccolto soldi per realizzare dispositivi per minare e che poi sono sparite nel nulla: io stesso ho perso alcuni bitcoin in una di queste”, racconta Pepe. “Come accade nel mercato reale, e a maggior ragione nei bitcoin, non bisogna mai investire più di quello che si è disposti a perdere”.
Non c’è solo il mining ovviamente. Anche i servizi per cambiare bitcoin stanno proliferando. Da utenti italiani sono nati exchange come The Rock Trading (che ha sede a Malta), dove si commerciano bitcoins, Litecoins, Namecoins, XRP (Ripples). Ma anche piattaforme per acquistare facilmente i bitcoin con una semplice ricarica PostePay o SuperFlash fatta al tabacchino, come BitBoat, fondata dal ventiduenne Thomas Bertani.
“A breve lancerò un sito con funzionalità simile, si chiamerà Bancobitcoin.org”, mi racconta Francesco (nome di fantasia), altro membro noto della comunità italiana. Anche lui molto giovane, diciamo meno di venticinque anni. Fino ad oggi faceva da broker della criptomoneta tramite il passaparola e il forum, ma ora ha deciso di strutturare di più la sua offerta in un servizio online. “Non mi piace vedere chi lucra sopra i bitcoin. Il mio sito avrà tariffe molto basse. Lo faccio perché mi piacciono le criptomonete. Penso che siano un’idea vincente, che renderà inutili altri sistemi di pagamento”.
fin qui wired.it , l'argomento BitCoin è interessante e ci ritornerò sopra , è da notare che si tratta di una moneta ballerina ed un investimento che è cresciuto moltissimo in pochi anni , attualmente è scambiata a 384 $ o 300 € circa partendo da 10-13 dollari al suo inizio